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Lezione n° 17

ADEGUAMENTO DELLE COMPONENTI TECNICO-TATTICHE DURANTE LA CRESCITA ORGANICO-MUSCOLARE DELL’ATLETA

Buona parte delle “lezioni” precedentemente pubblicate hanno puntato l’attenzione sulle capacità coordinative prima, poi su quelle condizionali, entrambe fortemente finalizzate all’apprendimento e acquisizione dei fondamentali tecnici e alla loro applicazione negli spazi e nei tempi adeguati.
La collocazione nella pianificazione dell’allenamento di Unità di Apprendimento (Unità Didattiche) delle componenti tecnico-tattiche ricopre troppo spesso spazi a dir poco insufficienti nell’attività giovanile (7-14 anni), con la tendenza a scomparire quando ci si rivolge ad atleti più grandi.

Per me lo “Stage di Natale” allo Skating Club Comina di Pordenone è una consuetudine, ma quest’anno è stata un’esperienza diversa. 
Da questi due giorni di allenamento è scaturita l’idea di questa nuova lezione.
L’esperienza è stata diversa per vari motivi:

  1. Da quest’anno i ragazzi sono seguiti da un nuovo tecnico Giampietro Storti (anche se il tecnico storico della società Paolo Bomben continua a dare il suo appoggio ed è entrato nell’organico tecnico un preparatore atletico).
  2. Nei due giorni di allenamento programmati (due sedute al giorno) il piano di lavoro è stato organizzato in base agli obiettivi del periodo fissati dal tecnico Storti.
  3. La mia presenza doveva essere di “osservatore tecnico” durante lo svolgimento dei programmi di lavoro, con la possibilità di intervenire con indicazioni e correzioni tecnico-tattiche.
  4. Una sessione è stata completamente dedicata a esercitazioni tecniche (la terza seduta), impostata e gestita da me in relazione a quanto osservato nelle due precedenti sedute e con la possibilità di mettere subito in atto i perfezionamenti, con esecuzioni più complesse.

Hanno consentito il buon risultato altri due elementi non di poco conto:

  1. Il condividere con il tecnico i vari obiettivi e l’aver concordato precedentemente l’intervento complessivo.
  2. Il conoscere da “una vita” i ragazzi con i quali si lavorava.

Nella foto sotto, anche se il tecnico è necessariamente provvisto di cronometro e fischietto, i momenti legati alla spiegazione, all’assegnazione di compiti tecnico-tattici e alle modalità esecutive del lavoro, restano centrali nel processo complessivo della seduta di allenamento.

Non entrerò nel merito delle tipologie di allenamento programmate (le sedute si sono svolte in palazzetti coperti e i lavori alternati tra anaerobici corti e aerobici medi con utilizzo dell’interval training e anche dell’americana), ma cercherò di elencare una serie di osservazioni legate a comportamenti del singolo e del gruppo, esecuzioni e risoluzioni positive e/o negative in relazione a competenze già acquisite, da migliorare, o regressioni dovute a vari fattori, tra cui il cambio del mezzo meccanico.

Inizierò con l’indicare una serie di osservazioni partendo dalla fase di riscaldamento, per poi passare alla seduta di allenamento con obiettivo organico-muscolare, fino ad arrivare alla valutazione della consapevolezza soggettiva del “gesto frammentato” durante la seduta di tecnica.

IL RISCALDAMENTO
A parte la sua funzione di “messa a temperatura” di tutti gli apparati con una parte generale e un’altra specifica, durante il suo svolgimento (dai 12’ ai 20’ e più, in relazione del lavoro centrale della seduta) l’atleta attiva anche le sue capacità attentive pur ricavando in questo spazio momenti di relazione con il gruppo.
Se in questo momento fondamentale della seduta di allenamento non si dovrebbe individuare uno spazio per apprendere o affinare elementi tecnici, è altrettanto vero che si dovrebbero assegnare compiti motori rivolti più agli aspetti tattici.
Per “aspetto tattico” si intende ad esempio saper pattinare in scia, con stessi angoli di lavoro, mantenere un assetto costante in rettilineo e in curva e adattare esecuzioni tecniche in funzione della velocità o del compagno che precede.

Osservazioni

  1. Seppur con esecuzioni individuali tutto sommato corrette, l’azione complessiva del gruppo risultava troppo diversificata nell’assetto tecnico (ognuno pattinava come voleva e soprattutto c’era poca disponibilità a far fatica!).
  2. In questa diversificazione di assetto tra i vari componenti del gruppo c’era piuttosto una “standardizzazione soggettiva del movimento”, cioè, ogni atleta non modificava la gestione della sua pattinata in relazione a chi era in testa al gruppo e alla relativa andatura; in pratica ad una velocità bassa la tendenza è quella di sollevarsi con gambe e spalle e modificare il ritmo del passo e poiché nel riscaldamento la velocità si attesta tra il 60 e il 75% questo comportamento era quasi sistematico facendo sì che il tempo dedicato al mantenimento dell’assetto tecnico si riducesse solo ai momenti in cui l’atleta si trovava in testa al gruppo.
  3. La valutazione di cui al punto 2 porta l’atleta a utilizzare male e sfruttare poco il potenziale dell’attrezzo tecnico, senza conoscerne le potenzialità partendo dalle basse velocità di lavoro.     

Proposte

  1. Il riscaldamento deve diventare un momento di risoluzioni “tattico-tecniche”, in virtù del fatto che la bassa intensità di lavoro rende più facili le esecuzioni richieste e il controllo delle stesse (dal facile al difficile, dal semplice al complesso, dal noto al meno noto, dal lento al veloce).
  2. La richiesta fondamentale posta agli atleti dovrà essere quella di saper mantenere la scia e il passo del battistrada, non si parla di sfruttamento della scia in quanto la velocità bassa non condiziona in modo importante l’erogazione di energia di chi resta coperto (alle alte velocità si calcola un risparmio del 20/30% per chi sfrutta adeguatamente la scia).
  3. Una successiva richiesta/obiettivo sarà quella di mantenere angoli di lavoro stabiliti dal tecnico, costruiti e da consolidare nelle fasi precedenti e successive della preparazione.
  4. Risolti i compiti di cui ai punti 2 e 3, le esecuzioni tecniche dei fondamentali dovranno essere modulate sia in termini di ritmo che di erogazione di forza (capacità coordinative di ritmo e differenziazione muscolare), puntando l’attenzione su movimenti controllati e percepiti, più lenti rispetto alle esecuzioni normali (indicare il numero di passi da effettuare in rettilineo e in curva variandoli nel corso del lavoro).
  5. Oltre al lavoro precedente, chi resta in scia dovrà alternare esercitazioni che pur mantenendo l’assetto, cambiano e correggono sostanzialmente alcuni parametri del movimento (per esempio pattinare senza staccare i pattini in rettilineo, in curva, in entrambi i settori, perfeziona la spinta alle alte velocità).

LAVORI CORTI AD ALTA INTENSITA’ (alattacidi <> lattacidi)
Osservazioni

  1. Questa tipologia di lavoro fondamentale e necessaria per preparare adeguate prestazioni risulta utile sia per le categorie giovanili (maggiormente nei lavori alattacidi) che per gli atleti evoluti, sia per velocisti che per fondisti.
  2. Le richieste di erogazione di energia massimali e/o sub-massimali di questi allenamenti tendono ad allontanare l’atleta dal controllo consapevole del gesto tecnico,
  3. la situazione al punto 2 si riscontra maggiormente con gli atleti che possiamo definire “velocisti”, cioè quelli che disputano le classiche gare corte (200-300-500 metri).
  4. La difficoltà di controllo del movimento alle alte velocità peggiora l’esecuzione tecnica e la rende meno efficace; se i lavori richiesti rientrano in un range di scarsa produzione di lattato (15”/20”) consentono ancora all’atleta, seppur poco cosciente ma con discreti fondamentali, a dare buone prestazioni; al contrario se i lavori si spostano sulla tolleranza al lattato (20”/50”) o resistenza alla velocità, l’insorgenza della fatica non collegata alla consapevolezza dell’azione stravolge negativamente l’azione tecnica evidenziando carenze non riscontrabili con lavori meno impegnativi.
  5. L’osservazione di cui sopra ci porta a dedurre che l’azione tecnica dell’atleta non è ancora nella fase di coordinazione fine e disponibilità variabile (oppure definita come altri autori “maestria tecnica”), questa situazione dovrebbe dirottare il lavoro su intensità leggermente più basse che consentono comunque di sviluppare il meccanismo energetico ma con una maggiore consapevolezza dell’atleta nel gestire l’erogazione di energia mantenendo un’esecuzione tecnica corretta.      

Proposte

  1. Nel proporre lavori di questo tipo richiedere sempre all’atleta di sentire il proprio movimento e saper gestire l’erogazione di energia durante la prova e/o saper descrivere a fine lavoro sia le esecuzioni tecniche che le sensazioni percepite (tra le tante cose importanti ciò porta anche a una prevenzione dei traumi soprattutto a livello del piede).
  2. Una scala progressiva di difficoltà potrebbe essere la seguente: distanze corte o tempi brevi di lavoro ad alta intensità alternati a distanze progressivamente più lunghe ad intensità sub-massimali.
  3. Anche se può sembrare un controsenso sono da coinvolgere maggiormente i velocisti a esecuzioni ad intensità più basse e con ritmi esecutivi leggermente rallentati; il controllo durante la prova o le prove permette di elaborare maggiori percezioni da trasferire nei successivi allenamenti o immediatamente dopo, in prove a intensità massimale senza modificazioni negative della tecnica.
  4. Un altro concetto da far passare è l’ampiezza del passo. Questo elemento è legato all’angolo al ginocchio e all’inclinazione dell’asse corporeo assunti nelle fasi di atterraggio nell’accelerazione e all’angolo al ginocchio che si ricerca nelle fasi di atterraggio in rettilineo e in curva nelle frazioni lanciate, l’atleta deve percepire l’apertura completa dell’angolo al ginocchio in ogni spinta e per creare le condizioni tecniche perfette la stessa deve essere completata su tutte le ruote senza scivolamenti del pattino verso la parte posteriore (conseguenze di una cattiva esecuzione: traumi al tallone).

LAVORI DI MEDIA INTENSITA’ TRA 80 E 95%
(capacità aerobica <> potenza aerobica )
Osservazioni

  1. Questa tipologia di lavoro deve rappresentare la parte quantitativa nel piano annuale e la sua validità si registra in un miglioramento dell’apparato cardio-respiratorio generale ma con la fondamentale incidenza nel miglioramento della gestione tecnica dell’attrezzo. Questi lavori rendono il gesto sempre più economico e in questi allenamenti, se organizzati in gruppo, si sviluppano le competenze tattiche necessarie per al pattinatore.
  2. Durante lo svolgimento di queste tipologie di lavoro, dall’andatura costante, al lavoro sui ritmi, ai giochi di andature, alle variazioni di velocità, all’interval training, ai progressivi e quant’altro, l’economicità del gesto tecnico ricopre il valore più importante (anche questo è un metodo per affinare la tecnica se l’atleta possiede elementi già conosciuti per modificare il suo assetto da solo o su indicazione dell’istruttore).
  3. I vantaggi indicati nei punti 1 e 2 vengono spesso disattesi, in quanto gli atleti non utilizzano il gruppo come aiuto al proprio allenamento e per rendere più efficace l’allenamento complessivo, ma lo sfruttano prevalentemente per necessità personali.
  4. Un altro elemento riscontrato è la scarsa dinamicità nella gestione del giro di pista e dell’intero lavoro. La tendenza è di standardizzare gesti e ritmi esecutivi e mostrare staticità in vari settori della pista, con difficoltà a modificare autonomamente esecuzioni e sequenze poco efficaci

Proposte

  1. Allenamenti di tipo aerobico, per meglio intenderci allenamenti lunghi, proposti ad atleti giovani dovrebbero essere sempre organizzati in gruppo per far acquisire quelle competenze tattiche che un pattinatore deve possedere. Con gli adulti si dovrebbe invece pianificare almeno parte di certi lavori in forme individuali e individualizzate. Il gruppo per un pattinatore è una sorta di “bombola di ossigeno” una riserva in più, è un peccato per certi atleti con spiccate qualità nascere in piccole realtà societarie.
  2. Durante lavori di tipo aerobico, fino a quelli per il VO2max, l’assetto tecnico complessivo, le esecuzioni dei singoli fondamentali, la gestione delle traiettorie, il ritmo esecutivo e la distribuzione dello sforzo, insieme devono concorrere ad aumentare la disponibilità allo sforzo prolungato.
  3. Il tecnico che ha la “fortuna” di lavorare con un gruppo ben rappresentato, non può organizzare l’allenamento solo negli aspetti condizionali e metabolici (limitarsi a scrivere ottime tabelle di marcia senza porre l’attenzione a come i componenti del gruppo si muovono e interpretano il lavoro), ma organizzare anche tatticamente le singole prove e i vari componenti.
  4. Per far sì che i ritmi della prova stabiliti vengano rispettati, può risultare sufficiente curare le fasi di cambio del gruppo, individuando punti precisi. Per migliorare i tempi di percorrenza delle prove, un’attenzione particolare alle traiettorie scelte può essere vincente. Modificare il numero di passi realizzati in rettilineo e in curva è un’altra strategia da provare e diminuire o variare il numero dei passi sia in rettilineo che in curva e renderli più efficaci potrebbe portare a coprire la distanza con tempi simili ma con forti interventi positivi sulla tecnica. Inoltre, queste ultime indicazioni legate ai passi nei vari settori possono modificare sostanzialmente la distribuzione dello sforzo e quindi cambiare sostanzialmente la qualità del lavoro a parità di distanza percorsa (un paio di esempi: 1. Giro di pista da 200 metri, si percorre il giro con 6 passi in rettilineo e 4 in curva, stesso giro con 4 passi in rettilineo e 5 in curva, con la seconda modalità si finisce la prova con oltre 15 pulsazioni al minuto in più, immaginate anche la differenza del tipo di impegno muscolare e di ritmo esecutivo nel giro, 2. Nel 2009 il record del mondo della 300 crono fu realizzato con 66 spinte, altri atleti lontani quasi un secondo dal quel tempo avevano percorso la prova con 80 spinte. Che cosa avranno fatto l’anno successivo nelle loro sedute di allenamento per avvicinarsi al modello di prestazione vincente?)

LAVORO TECNICO
Osservazioni

  1. Molti atleti hanno una buona esecuzione tecnica dei fondamentali ma una scarsa consapevolezza di ciò che fanno, come lo fanno e quando lo fanno.
  2. La situazione di cui al punto 1 condiziona negativamente l’esecuzione tecnica in situazioni di fatica e confronto con gli avversari.
  3. Alcuni elementi parziali della tecnica, la loro esecuzione corretta, la tempistica e la cronologia all’interno del movimento complessivo, sono scarsamente conosciuti e quindi realizzati in forma automatizzata ma non cosciente; questo è un elemento che impedisce nuovi aggiustamenti e riadattamenti a gradienti di forza maggiori e cambiamenti del mezzo meccanico rappresentando una “barriera” a nuovi apprendimenti.
  4. Si riscontra una stagnazione della tecnica, sia essa “buona o cattiva”, un grande ostacolo nelle prestazioni di alto livello.
  5. Si rilevano inoltre regressioni tecniche, anche se le prestazioni continuano a migliorare. Questo fenomeno nel settore femminile è più evidente, con il cambio del mezzo meccanico e l’aumento del diametro delle ruote, mentre in quello maschile è da riscontrare più un atteggiamento “esibizionistico” non legato a effettivi miglioramenti economici del gesto, il tutto comunque individuabile perché si pone poca attenzione alle basi dei fondamentali dello sport (l’atleta dell’Ecuador arrivato secondo quest’anno nella maratona mondiale è restato in testa da solo per 30 km a una velocità di oltre 40 km/h e il suo gesto tecnico non si è mai modificato mantenendo inalterate le caratteristiche tecniche dei fondamentali e nel caso specifico le spinte in rettilineo, con una frequenza tra le 75-80 spinte minuto pari a 80-75/100 di contatto al suolo).

Proposte

  1. E’ fondamentale la conoscenza approfondita della tecnica della disciplina per pianificare sedute specifiche efficaci e mirate.
  2. In fase di apprendimento scegliere una vasta gamma di esercizi propedeutici che possono fissare gli elementi di base di ogni fondamentale tecnico.
  3. Con atleti che hanno già acquisito discrete competenze seguendo un percorso organizzato di tipo tecnico, la scelta degli esercizi si riduce e gli stessi richiederanno maggiore complessità esecutiva e precisione.
  4. Con atleti che hanno già acquisito discrete competenze senza aver seguito un percorso organizzato di tipo tecnico, sarà necessario destrutturare il movimento acquisito con esercizi scelti per recuperare i punti di maggior debolezza e per far percepire sensazioni necessarie alla realizzazione del nuovo movimento, più consapevole ed efficace.
  5. Nessun esercizio, se non collegato con il “movimento reale complessivo” e non metabolizzato dall’atleta può dare risultati permanenti utili per “agganciare” nuovi apprendimenti.
  6. I fondamentali tecnici sono suddivisi in fasi, gli esercizi tecnici entrano in profondità in ognuna di esse, i movimenti richiesti vengono fissati e memorizzati sia a livello cerebrale che a livello muscolare e queste sensazioni verranno poi richieste in azioni tecniche più precise e complesse.
  7. Definire per ogni esercizio l’obiettivo e le modalità esecutive corrette, indicare come i carichi andranno distribuiti, comunicare all’allievo che solo con il “fare cosciente” riuscirà a percepire il suo movimento e successivamente utilizzare le indicazioni che giungeranno dall’esterno dal tecnico.
  8. Non dimenticare mai la progressività dell’apprendimento, ossia dal facile al difficile, dal semplice al complesso, dal lento al veloce, ecc.
  9. Ricordarsi che all’azione degli arti inferiori si deve combinare anche il movimento degli arti superiori e che l’azione si sviluppa in “forma ascendente” quindi una scorretta esecuzione delle braccia dipende da un cattivo controllo delle traiettorie dei pattini sul terreno.
  10. LA TECNICA DEVE SEGUIRE COSTANTEMENTE IL PERCORSO AGONISTICO DELL’ATLETA

Un’attenzione maggiore alla gestione dell’allenamento mette al centro del processo l’atleta: il più capace di apprendere, adattare, trasformare, migliorare.
Noi siamo dalla sua parte!

 

“buona stagione agonistica 2011 a tutti”

 

 


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